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Note di sceneggiatura
Come raccontare ancora una volta Anita Garibaldi, raccontare
Si trattava inoltre di celebrare finalmente i 150 anni dell’Unità d’Italia attraverso il ritratto di un’icona femminile, e offrire così alle generazioni dei più giovani la consapevolezza di radici storiche spesso misconosciute, se non ignorate.
Molte le insidie: bisognava almeno cercare di evitare la rappresentazione a tutto tondo, agiografica, e schivare l’automatismo, sempre in agguato, di riproporre semplicemente l’immaginario cinematografico, e poi televisivo, egemonizzato dall’Anna Magnani/Anita di Camicie Rosse (G.Alessandrini e Francesco Rosi,1952).
Si poteva allora tentare di raccontare una giovane donna ribelle che si rivolta contro un destino obbligato di povertà e sottomissione e le sue crudeli convenzioni; di una coscienza femminile che si forma nel fuoco dell’esperienza, fra mille esitazioni e paure, fra incertezze e delusioni, quale deve essere stato il percorso all’epoca, nel secolo diciannovesimo, di tante donne del sud del mondo e della società. Donne di cui non conserviamo neanche il ricordo di un nome, al contrario delle nobili patriote con cui Anita, dopo una naturale, iniziale ritrosia, sperimenta una storica ‘sorellanza’, in nome di libertà e progresso.
La chiave della scelta di un punto di vista femminile, di un ritratto quasi speculare, senza tradire o dimenticare
Così, ripercorrendo secondo quel punto di vista la vicenda pubblica e privata, affiorava in primo piano la modernità, l’attualità di quella storia d’amore e di guerra di liberazione, e dei suoi due giovani protagonisti, Ana e il suo “José”: Anita e Giuseppe Garibaldi.