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Editoria musicale

Recensione - Le novità editoriali

Editoria musicale John Cage Brian Eno Johann Sebastian Bach Fabrizio De André

di Autori vari

Il campo in cui il tradizionale corpo a corpo tra la cultura alta e la cultura bassa ha trovato terreno fertile è quello della musica. Tra poco il consueto appuntamento del 1 Maggio in Piazza S. Giovanni a Roma ne celebrerà alcuni dei protagonisti nazionali più rappresentativi. Ma come ricordava Achille Campanile, il nostro è il paese delle inaugurazioni ma non della manutenzione. In realtà la musica è sovente mortificata: sia dai malcurati palinsesti televisivi e radiofonici, da tempo preda di interessi mercantili; sia dall’invasione implacabile di un sottofondo che non si spegne mai, dai supermercati agli ascensori fino ai bancomat, e sul quale Gabriele Romagnoli e Giorgio Falco hanno scritto su Repubblica del 26 febbraio scorso due articoli molto pertinenti.
Il musicista americano John Cage, conosciuto in Italia anche per una incredibile partecipazione a “Lascia o Raddoppia” (!), ha dedicato tutta la propria vita, oltre che alla messa a punto della sua arte, al tentativo di avvicinare il maggior numero possibile di persone alla musica d’avanguardia, che è in effetti un’esperienza d’ascolto piuttosto difficile, e per farlo ha adoperato tutti i mezzi a sua dispozione. Quasi contemporaneamente due case editrici milanesi gli rendono omaggio. La Auditorium, guidata con grande passione da Claudio Chianura, ha messo insieme in un elegante box un compact-disc, con dentro una serie di registrazioni dove diversi artisti interpretano la musica del compositore; ed un libro contenente materiale di varia natura. L’iniziativa ribadisce la linea editoriale del marchio, non estraneo a queste belle operazioni, ed offre al lettore un approccio molto chiaro all’intricata vicenda dell’artista. Mentre il fondamentale volume “Silenzio”, scritto nel 1961 e ancora attualissimo, viene proposto ora dalla Shake; piccola e intraprendente casa editrice dedicata al sapere non omologato (lo conferma l’uscita di “Manuale di cultura industriale”, dove Paolo Bandera descrive il mondo della musica industriale e la sua complessa filosofia di base). Nel libro in questione Cage racconta, oltretutto con notevole qualità narrativa, gli obiettivi che si è posto e le difficoltà affrontate per raggiungerli. Il testo riporta anche l’atmosfera di quegli anni, nei quali l’America, dalla politica all’arte e nonostante le pressioni di gran parte delle istituzioni, era un grande laboratorio di idee e di sperimentazioni; e dimostra, pure in maniera suggestiva, come Cage sia stato realmente un pioniere, soprattutto per i più giovani.

Non è un caso che il suo testimone sia stato idealmente raccolto nel campo del rock da Brian Eno. Su di lui l’editore romano Arcana – tradizionalmente vicino ai fermenti della cultura giovanile; al punto da mandare in libreria, sempre in questo frangente, un intrigante saggio sulla musica digitale: “Sound Unbound” di Paul D. Miller – pubblica una bella biografia a firma del giornalista David Sheppard. Eno è stato il produttore di grandi artisti, da David Bowie agli U2 fino alla nostra Teresa De Sio; ed è stato a sua volta protagonista di una brillante carriera solista, pubblicando a suo nome molti dischi importanti. A parte un vecchio titolo della Giunti, ed uno ancora più vecchio della stessa Arcana, su di lui in italiano non c’era niente. La biografia è dunque un’occasione per addentrasi nei misteri della musica contemporanea, oltre che nella personalità di una figura così affascinante.
Lo stesso si può dire di “Ian Curtis. La vita e i Joy Division”; pubblicato da Odoya, editore di cui già abbiamo avuto modo di apprezzare l’attività, e scritto a quattro mani dal reporter Mick Middles con la collaborazione di Lindsay Reade (che è persona informata sui fatti...). L’impatto della musica dei Joy Division, un gruppo inglese dei primi anni Ottanta guidato dal tormentato leader Ian Curtis, resta ancora oggi uno dei contributi più significativi all’evoluzione della storia del rock. Il libro è a tratti straziante e documenta con lucidità, oltre che con ampia cognizione di causa, la parabola pubblica e privata del cantante, mentre sullo sfondo racconta della cangiante scena inglese, punto di partenza di tante correnti artistiche.  

Se il lavoro di queste case editrici è in qualche misura più di nicchia, Il Saggiatore prova a conciliare temi di diversa provenienza, sempre con eccellenti risultati. A suo tempo sono usciti per conto di questo marchio, ben guidato da Luca Formenton, libri molto belli sul jazz. Ora è la volta di due pubblicazioni differenti tra loro ma di uguale interesse. La prima la firma il critico canadese Eric Sibli, che in un elegante saggio dedicato ad una delle numerose pagine immortali di Johann Sebastian Bach (“Le Suites per violoncello”) mette sullo stesso piano – applicando un approccio tipico del giornalismo anglossasone e seguendo la vicenda del celebre violoncellista Pabo Casals – l’impegno politico, la buona musica e la cultura popolare. Siblin entra nel secolare mistero della musica di Bach e ne porta alla luce le istanze più belle, coinvolgendoci nell’apprendimento di una delle più toccanti esperienze della storia dell’arte.
La seconda pubblicazione del Saggiatore svela invece come lo studio della musica fosse un importante strumento di comprensione all’interno della riflessione teorica del grande antropologo francese Claude Lèvi-Strauss. Se ne sapeva poco di questo legame; esso è invece il soggetto dell'interessante volume “Lévi-Strauss musicista. Mito e musica”, dove il musicologo Jean-Jacques Nattiez ha racchiuso la sua lunga ricerca. Si tratta di un vero e proprio percorso – sospeso tra la pratica artistica, le scienze umane e le suggestioni della mitologia – ed oltre a ribadire una volta di più l’importanza della figura di Lèvi-Strauss, ci aiuta a capire quante cose diverse tra esse, persino le più impreviste e lontane nel tempo, siano invece alla base della nostra società e del suo sentire.

E quanto siano importanti questi valori lo sapeva bene Fabrizio De André; uno degli autori più importanti della canzone italiana, oggetto recentemente di una bella iniziativa del Corriere della Sera (otto Dvd realizzati dalla Fondazione che reca il suo nome). Amaro destino il suo, dal punto di vista editoriale, ma comune a quello di tanti altri artisti scomodi. Quando era in piena attività, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, non esisteva nemmeno un libro su di lui; a parte un vecchio titolo della Lato Side, piccola e agguerrita casa editrice romana del periodo. Ora ne esce un ogni quarto d’ora! Davvero troppi, pure considerando il valore del musicista (e piano piano sta accadendo lo stesso con Giorgio Gaber). Però questo “Controsole”, edito da Arcana – che nel frattempo ha licenziato anche l’ottimo “Fra le pagine chiare e le pagine scure”, dove Claudio Fabretti esplora il repertorio di Francesco De Gregori – va segnalato perché finalmente si distacca dagli altri. Lo hanno scritto due colleghi in gamba come Ferdinando Moltemi, giornalista de “Il Secolo XIX”, e Alfonso Amodio, Direttore di Radio Savona Sound. L’idea di partenza – quella di dedicare il libro ad un disco specifico del cantante; in questo caso “Crêuza De Mä” del 1984, considerato il suo capolavoro – è mutuata dalla stampa anglosassone, dove da tempo viene realizzata con successo. Mentre da noi vanta un solo precedente di livello; quello di “Come è profondo il mare”, uscito quattro anni fa per Rizzoli, dove Marialaura Giulietti raccontava l’omonimo disco di Lucio Dalla. Gli autori offrono ai lettori differenti motivi di riflessione: intervistando a proposito del disco molti bravi musicisti, da Eugenio Bennato a Riccardo Tesi; analizzando le canzoni che ne compongono la scaletta; raccontando il tour successivo; facendo parlare il produttore Mauro Pagani; scovando un’intervista inedita, dove l’artista tocca diversi aspetti della sua attività a cominciare dal rapporto personale con il dialetto. Avemmo a suo tempo un colloquio telefonico con De André, prendendo accordi per un’intervista radiofonica. Chiese con molta educazione di ricevere le domande per iscritto. Sul momento ci sembrò una richiesta bizzarra. Ora invece che trionfa l’abitudine, pure nel nostro mestiere, la ricordiamo come uno scomparso segno di civiltà.


A cura di Vittorio Castelnuovo


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